Morte di don Antonino Prudenzi

Nessuno di noi avrebbe previsto che avremmo iniziato la “Tre giorni del Clero” dando l’ultimo saluto al nostro fratello don Antonio.
Circa un mese fa lo avevamo visto sofferente in viso; i confratelli più legati a lui avevano notato qualcosa di anomalo e avevano insistito e si erano adoperati perché don Antonio ricorresse alle cure dei sanitari in ospedale. Lui che pure era restio ad ogni familiarità con i medici, si era lasciato convincere. Purtroppo quando si è deciso è stato troppo tardi.
Don Antonio nei circa 20 giorni di ricovero in ospedale, col male che si accaniva con veloce e crudele virulenza, si è reso consapevole della situazione, provando la sofferenza e la fiducia espressa nella prima lettura del libro di Giobbe:
“26Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio.
27Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro»”.
Don Antonio ha vissuto gli ultimi giorni e le ultime ore della sua vita con grande abbandono al Signore. Si è preparato con la solita riservatezza all’incontro con Sorella Morte corporale.
Coscientemente ha ricevuto i sacramenti: l’Estrema unzione e il viatico. Io stesso, il giorno prima della morte, gli ho impartito l’assoluzione sacramentale dietro sua richiesta.
Tutti i presenti e don Antonio che era assopito, ma che seguiva, abbiamo pregato il salmo:
“Pietoso e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge i piccoli: ero misero ed egli mi ha salvato”.
Fino alla fine ci ha dato testimonianza di come si va incontro alla morte, seguendo Gesù nella passione, guardando alla risurrezione.
Ai familiari, che lo hanno assistito con totale affetto e con cristiana devozione, e a tutti noi, che pure crediamo fermamente nella risurrezione, ma ne piangiamo la dipartita, viene in soccorso a conforto le parole dell’Apocalisse:
Io, Giovanni, 9vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare…
16Non avranno più fame né avranno più sete,non li colpirà il sole né arsura alcuna, 17perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
E’ la prospettiva riservata ai discepoli del Signore, ai testimoni e ai pastori del Buon Pastore.
E’ tra quella moltitudine immensa che dobbiamo cercare il nostro caro don Antonio, non so se, come dice la Scrittura “avvolto in vesti candide, e con i rami di palma nelle loro mani”, ma certamente come servo buono e fedele dell’Agnello.

Quella di don Antonio è la storia di una vocazione, come quella come gli apostoli.
Chiamato quando già era adulto dalle rive del fiume mentre era intento al suo lavoro di metalmeccanico, onesto lavoratore, chiamato a cambiare mestiere, a lavorare nella vigna del Signore.
Alla voce del Signore ha risposto con slancio generoso: eccomi! E come gli apostoli, come Pietro, ha conservato la rudezza del carattere, la concretezza dell’approccio alle situazioni, la semplicità nei modi, l’essenzialità nelle relazioni, la generosità nei confronti dei simili, lo slancio nel dedicare la sua vita al Signore e alla causa del Vangelo.
E’ stato vicario della parrocchia della concattedrale di Narni (1991-1995), parroco della Parrocchia delle Sante Rita e Lucia (1995-2011) e parroco della Parrocchia di Santa Maria della Cerqua in Narni (dal 2011). A livello diocesano è stato direttore della Commissione del Lavoro, lui che aveva sperimentato e conosceva la durezza e le dinamiche del mondo del lavoro.

Nell’ultimo periodo era preoccupato che i cambiamenti della società e la inadeguatezza degli interventi pastorali e di Evangelizzazione, messi in atto dalle comunità cristiane creassero una situazione di fallimento.
In una mail, inviatami il 21-8-2015, alla quale avevo solo dato una risposta interlocutoria, ma che ho tenuto in evidenza leggendola ogni tanto, si possono scorgere in sintesi i tratti caratteristici dell’uomo, del prete e del pastore preoccupato per il bene delle anime. Così si esprimeva.
Carissimo Padre Giuseppe,
le scrivo queste righe per dirle ciò che a voce non saprei esprimere.
Durante i tre giorni di Foligno sarei voluto intervenire ma la timidezza ha prevalso, sono intervenuto nel gruppo e ho espresso la mia idea riguardo al compito primario della Chiesa, delle comunità e dei preti, evangelizzare, ma chi ha riportato in assemblea l’ha appena accennato.
Annunciare il Vangelo è stata sempre la mia prima preoccupazione, ma in questo compito ho trovato sempre ostacoli e fallimenti.
Le ho provate tutte: incontri di catechesi in parrocchia e nelle zone delle parrocchie dove sono stato.
La missione, coinvolgendo il movimento dei “Cursillos”, la recita del Rosario meditato sempre nelle varie zone, in cui ad ogni mistero si trattava un tema.
Il nuovo metodo catechistico per i bambini in cui i genitori sono coinvolti pienamente nel cammino di formazione cristiana dei figli.
Da due anni inserisco le schede di formazione sul sito parrocchiale in modo che genitori e figli da casa possono vederle e meditarle. TUTTO FALLIMENTO
Di fronte a tutto ciò ho detto tra me che alla nostra gente non interessa Cristo e il suo Vangelo, interessano i sacramenti e il funerale in Chiesa.
Ecco perché credo che sia importante un confronto tra Vescovo, preti e laici coinvolgendo i vari movimenti e associazioni, perché insieme possiamo affrontare il problema di una nuova evangelizzazione per il nostro territorio diocesano che si sta scristianizzando.
Attualmente nelle nostre parrocchie si sta vivendo una pastorale di conservazione, si cerca di conservare quel poco che c’è, Messa domenicale, catechismo per l’iniziazione cristiana, feste patronali, qualche incontro di catechesi fatta a settori, senza affrontare una vera e propria evangelizzazione.
Inoltre noi parroci di solito soli, ognuno con i propri pregi, limiti e difetti, si ritrova a coltivare il proprio orticello.
A volte l’orgoglio e la paura di essere giudicato, si tiene tutto per se, senza avere un confronto serio e consolante con i confratelli.
Inoltre le chiedo per quello che le è possibile, di dare la possibilità, anche in alcune occasioni, di poter ottenere l’indulgenza plenaria presso il santuario di S. M. della Cerqua durante l’anno giubilare.

SALUTO E RINGRAZIO, DON ANTONIO PRUDENZI
Potrei chiamarlo il Manifesto di don Antonio:
L’amore per Gesù e il Regno, la salvezza delle anime, la missione e una nuova evangelizzazione, il desiderio di un confronto libero e sincero con i confratelli, una riflessione approfondita tra preti, laici, gruppi e movimenti per individuare le strade di una nuova Evangelizzazione nel nostro territorio.
Alla nascita della Chiesa dal costato di Cristo morente ha assistito Maria, la Madre di Gesù, alla quale la Chiesa e ciascuno di noi è stato affidato. Ma anche Giovanni si è preso in carico la Madre di Gesù e della Chiesa.
Il Vangelo di Giovanni, proclamato in questa circostanza ci dona una grande fiducia e speranza.
L’apparente fallimento della missione di Gesù trova nella convivenza di Maria e Giovanni, Maria e la Chiesa le ragioni della vita e della risurrezione. Anche per la nostra Chiesa particolare, troveremo il segreto del successo, della missione evangelizzatrice l’affidarci a Maria e con Lei imparare a fare quanto Gesù ci dirà.
Anche don Antonio, che ha amato Maria, sotto il titolo di Madonna della Cerqua, da questa sua familiarità troverà la strada per il paradiso e pregherà perché la missione che lui ha tentato con ogni mezzo, possa avere successo per il bene delle anime.