Cattedrale di Terni – Stazione quaresimale e memoria di mons. Gualdrini

Cari fratelli e sorelle,
stiamo vivendo una delle stazioni quaresimali, un ritrovarci per celebrare l’eucarestia sulle tombe dei martiri, dei nostri santi pastori che in passato hanno annunciato la parola di Dio e hanno contribuito a fecondare questa comunità generandola di nuovi figli. Già nella chiesa di Roma, fondata dalla testimonianza speciale degli apostoli e dei martiri, fin dal IV-V secolo, si radunava, nella quaresima, insieme al Papa sulle tombe dei martiri per purificare la propria fede e testimonianza e ritrovare la propria identità.
Il tempo forte di Quaresima e della Pasqua è un momento privilegiato per compiere un cammino interiore e rinnovare la propria vita spirituale, come Chiesa che cresce alla scuola dei suoi testimoni e nell’esperienza di comunione e di preghiera. Proprio l’idea della preghiera in comunione mi sembra una delle caratteristiche peculiari delle Stazioni quaresimali insieme all’altro elemento importantissimo, quello della memoria dei martiri. Una comunità che si raccoglie in preghiera nella memoria dei suoi testimoni della fede è una realtà dinamica, che cerca nelle radici della sua storia la forza per scrivere il proprio futuro. E anche noi vogliamo radicarci sui martiri, quelli del passato, ma anche i numerosi martiri della chiesa di oggi. È una Chiesa che vuole trovare nei suoi santi la forza del cammino e la direzione certa per poter raggiungere le stesse mete, gli stessi traguardi.
Abbiamo ascoltato la parola di Dio di questa quinta domenica di Quaresima. Una parola ricchissima e vorrei soffermarmi sul Vangelo.
Alcuni greci – dice san Giovanni – persone che non appartengono a Israele, proseliti, simpatizzanti, apprezzavano la Torà, la religione del popolo ebraico. Erano convenuti nella festa di Pasqua al tempio e cercavano di capire qualcosa di più, ma non potevano oltrepassare la balaustra, essendo ebrei. Cercavano l’incontro col Dio di Israele nel tempio.
Sorpresa, questi greci invece si rivolgono a Filippo, uno degli apostoli e gli pongono quella richiesta: “Vogliono vedere Gesù”. Un espressione bellissima che dovrebbe diventare un ritornello della nostra vita quotidiana. Filippo si rivolge ad Andrea, un altro apostolo per manifestare questa richiesta dei Greci che vogliono conoscere Gesù, la sua identità più profonda. Entrambi vanno da Gesù.
Anche Zaccheo voleva vedere Gesù, che poteva dare una risposta alle sue domande. Gesù dopo la richiesta dei due apostoli, esce con un’espressione che sembra mettere da parte il desiderio dei Greci di volerlo vedere ma che in effetti dà una risposta che si rivolge soprattutto ai due apostoli. “E’ venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato”.
Se vogliano far vedere Gesù dobbiamo presentare questo messaggio, il Gesù autentico, i discepoli devono vedere il Figlio dell’uomo, l’uomo autentico glorificato, innalzato sulla croce. Be diversa dalla gloria di questo mondo. Gesù è colui che ha una glorificazione perché giunge a donare il massimo del suo amore.
E’ arrivata la sua ora. Già a Cana aveva detto che non era giunta la sua ora. Prima della lavanda: Gesù sapendo che e giunta la sua ora di passare al Padre… la su Pasqua, la sua glorificazione.
I discepoli per mostrare il vero Gesù agli altri devono capire il vero Gesù, in profondità, capirne la sua vera identità.
Gesù continua sempre parlando con i due discepoli: un esempio significativo:
“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Un’altra immagine che serve per comprendere la vera identità del Signore: il chicco sembra scomparire, ma da origine ad una vita immensamente più grande, produce alimento che dà la vita agli uomini. E’ questa un’immagine che dà senso a tutta la vita di Gesù che sotterra la propria esistenza per dare in dono se stesso agli uomini.
Il dono della vita produce vita.
E Gesù prosegue ancora:”Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. La morte di Gesù non è vista come una inattuabile necessità, come una condanna, ma è presentata come un dono. Con questa immagine Gesù sembra dirci: chi non è capace di donare la propria vita la distrugge, la perde. Come fare allora per trattenere la nostra vita? Come fare per trattenere e salvare la nostra vita? Gesù ci indica come trattenerla: donarla, buttarla come un seme, solo in questo modo fiorirà e la conserveremo in una maniera rinnovata. Una vita donata per amore è il modo migliore per conservarla.
I greci vogliono vedere Gesù, ma sono i discepoli che devono aiutarli a vedere e devono porsi al servizio del Signore: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”.
I discepoli di fronte alla morte di Gesù scappano, ma Gesù vuole persone che condividano la sua proposta di amore, che si mettano dalla parte del proprio progetto, e usa il concetto biblico di servo, colui che aveva messo la sua vita a disposizione degli altri fino alla fine. Pensate a Maria la serva del Signore. Tutti coloro che si pongono dalla parte del Signore e che si rendono disponibili a diventare come seme che muore e che produce frutto servirà il Signore e sarà elevato a vita nuova. Stiamo celebrando l’Eucarestia che non è altro che quel chicco di frumento che ha prodotto frutto e che è diventato pane e che diventato per noi Gesù il cibo della nostra vita e della nostra vita. Pane di vita che rinnova la nostra vita.
Volgiamo metterci in questa prospettiva di discepoli che vogliono vedere Gesù, riconoscerlo nella sua vera identità e di apostoli che lo mostrano nella identità che Gesù ci ha delineato.
In questa stazione quaresimale ricordiamo il vescovo Franco Gualdrini, un vero pastore che ha posto buona parte della sua esistenza al servizio della formazione. La sua passione educativa è durata tanti anni prima nella sua diocesi, poi a Roma e quindi nella nostra chiesa particolare.
Ha saputo tradurre e trasmettere le conclusioni conciliari alla nostra chiesa diocesana, coinvolgendo preti, laici, religiosi nel progetto della chiesa nata dal Concilio Vaticano II. Uno dei suoi impegni maggiori è stato lo sviluppo della cooperazione missionaria che ha visto l’apertura della missione nella Repubblica democratica del Congo e la collaborazione con questa chiesa giovane dell’Africa. E infine uno dei pensieri più fermi nel suo testamento è il tema della santità: “Invece la santità ho sempre agognata mai raggiunta. La grande nostalgia che mi rimane nel cuore. Compatiscimi o Signore per non essermi sufficiente aperto ad accogliere questo tuo dono supremo”.