La seconda edizione di “A pranzo con Amore” nella cattedrale di Narni è un incontro gioioso e di solidarietà che la parrocchia propone per il secondo anno, in occasione della festa del patrono san Giovenale, a tutta la diocesi. Domenica 20 maggio nella Cattedrale di Narni hanno pranzato insieme duecento persone provenienti da diverse zone della diocesi. Una giornata di festa iniziata con la solenne celebrazione alle ore 11 presieduta dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che ha accolto con estrema disponibilità l’invito rivoltogli, qualche mese fa, dal parroco della Cattedrale di Narni, don Angelo D’Andrea. Al termine della celebrazione il saluto da parte delle autorità e di una delegazione cittadina. Alle ore 13, insieme al vescovo diocesano Vincenzo Paglia, il cardinale Vegliò si è seduto a tavola in Cattedrale con tanti altri ospiti per il pranzo preprato e servito dai volontari della Caritas parrocchiale. La Cattedrale di Narni in questa domenica è stata il luogo in cui si ‘è spazzato’ il pane della Parola, dell’Eucarestia e della Carità. Al pranzo di solidarietà hanno preso parte i membri della parrocchia cittadina e alcuni invitati speciali tra loro anziani, poveri e immigrati ospiti di alcune Caritas parrocchiali, delle Conferenze San Vincenzo de’ Paoli e quanti vivono un momento di solitudine, di difficoltà umana.
OMELIA DEL CARDINALE ANTONIO MARIA
VEGLIÒ
PRESIDENTE DEL PONTIFÌCIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE EUCARÌSTICA NARNI 20 MAGGIO 2012
Cari fratelli e sorelle,
ho accolto molto volentieri l’invito a presiedere questa Liturgia, rivoltomi da Don Angelo, parroco di questa bella comunità cristiana, che si ritrova nell’antica e prestigiosa concattedrale di San Giovenale. A tutti voi qui presenti rivolgo il mio più cordiale saluto, con particolare ossequio all’Eccellentissimo Vescovo di questa Diocesi, Monsignor Vincenzo Paglia. L’occasione di questo incontro è la celebrazione dell’Eucaristia nella solennità dell’Ascensione di Gesù al cielo, che ci invita a fissare e mettere a fuoco i valori, gli aspetti provvidenziali, le dinamiche positive della costruzione della comunità cristiana, che avviene a poco a poco, fa progressi e si moltiplica sotto la guida dello Spirito Santo, il quale invia i missionari come “testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Poi, innestata sulla fede nel Cristo risorto, !a nuova comunità è pronta ad annunciare la Salvezza, come dice il Vangelo: ”Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”. Il racconto dell’ascensione di Gesù mette in luce anzitutto la comunione tra Gesù e i discepoli che sono stati testimoni della sua risurrezione e, nello stesso tempo, anche l’unità della missione evangelizzatrice della Chiesa. Infatti, da Gerusalemme parte e si diffonde la missione degli apostoli, per raggiungere uomini che appartengono a popoli e culture diverse, nella fedeltà al mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”, come abbiamo appena sentito proclamare. Poi, andando per le strade del mondo allora conosciuto, nei punti nevralgici degli itinerari apostolici, sorgono diverse comunità cristiane, ma tutte sono raccolte nell’unità della fede e della carità di Cristo. E questo avviene nell’ambito di una Chiesa che si costruisce dopo la risurrezione di Gesù; ma il medesimo dinamismo di crescita e di espansione è vivo e vitale anche oggi, in un mondo in cui sono sempre più presenti le problematiche e le sfide del fenomeno delle migrazioni, ormai divenuto strutturale a livello mondiale.
Sappiamo tutti che i movimenti migratori, soprattutto negli ultimi anni, sono diventati sempre più frequenti. Ovunque nel mondo d’oggi vi sono persone che affrontano i disagi dello sradicamento e si avventurano verso nuove “terre promesse”. Emigrare non è mai indolore. Se potessero, molti non lascerebbero il loro Paese. Emigrando, si lascia la patria, la cultura, le abitudini, le usanze e gli affetti familiari per andare in un luogo sconosciuto, dove tutto è da imparare, persino la lingua. Sarebbe dunque bene pensare a prevenire l’emigrazione. Dopotutto è anche diritto di ogni persona di vivere e crescere nel luogo dove è nata. Di fatto, oggi le migrazioni hanno assunto le dimensioni di vere e proprie crisi umanitarie, innanzitutto per le caratteristiche da esodo biblico di tale fenomeno, fatto di mille avventure con caratteristiche a volte disumane e, purtroppo, persino tragiche, sempre più spesso divorato dalla voracità senza scrupoli della criminalità organizzata. Non possiamo tacere, poi, la prepotente rinascita del traffico di schiavi, che interessa ogni anno circa un milione di persone, destinate al mercato della prostituzione, al lavoro coatto, al traffico di organi umani e alla sessualità minorile.
Spesso la fuga all’estero riduce risorse umane importanti, se teniamo conto che in alcuni Paesi si porta via fino al 60% delle persone con educazione superiore, lasciandosi dietro una comunità privata delle sue donne e dei suoi uomini migliori. È un dato di fatto che le migrazioni ci mettono a contatto con persone, culture e tradizioni diverse. Il migrante, però, non è un concetto astratto, ma una persona concreta, che sogna un mondo di giustizia e di pace, che desidera incontrarsi con altre persone, nella legalità e nel rispetto delle regole del vivere civile, per costruire insieme un mondo migliore. Questo significa che la relazione tra persone ha un valore importantissimo, perché nel corretto rapporto interpersonale avviene il rispetto, la promozione, l’affermazione del senso di ogni persona umana. Il Vangelo spiega che il fondamento positivo delle relazioni è “l’altro” in quanto “prossimo”, raccomandando di superare le barriere della paura, del pregiudizio, dell’indifferenza, dell’egoismo e della chiusura. Nel migrante si fa presente Cristo stesso, che afferma: “ero straniero e mi avete accolto”. Gesù sta fermo davanti alla porta e, bussando, aspetta che la porta si apra, come molti migranti che, giunti nel Paese di immigrazione, si fermano alle porte degli abitanti del posto di arrivo. Nel loro Paese non avevano le opportunità che ora sono convinti di poter godere, almeno in qualche misura, per un benessere più garantito e più sicuro, per se stessi e per i loro cari.
Quale può essere la reazione di coloro che si trovano in genere dentro la casa, al sicuro, protetti, con la garanzia di poter usufruire di beni e di risorse? Quella porta può restare chiusa, anche per difendere abitudini, tradizioni, mentalità ed altresì pregiudizi o paure. Oppure, può essere una porta aperta, che diventa accogliente e ospitale, pur nel rispetto della giustizia e della verità. Applicando la riflessione al fenomeno attuale della mobilità umana, questo non significa certo favorire l’illegalità, ma disporci a superarla, nella solidarietà e con reciproca collaborazione. Chi bussa alla porta aspetta che la porta si apra. La condivisione delle risorse ha l’effetto di creare una nuova condizione di vita, nella comunione. “Le migrazioni – ha detto il Beato Papa Giovanni Paolo II in occasione della Giornata della pace del 2001 – costituiscono una grande opportunità, se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della solidarietà che deve unire la famiglia umana”. E nel documento del Pontificio Consiglio che presiedo, (l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi), si riprende questa posizione decisiva affermando che “siamo tutti convocati alla cultura della solidarietà, tante volte auspicata dal Magistero, per giungere insieme ad una vera e propria comunione di persone. È il cammino, non facile, che la Chiesa invita a percorrere” (n. 9).
Certo, la solidarietà non si esprime senza fatiche, senza sacrifici e senza sofferenze. Anche San Paolo, nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, raccomanda: “comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Il cristiano oggi più che mai è chiamato a impegnarsi per la “nuova civiltà del!’amore”, nella comunione personale e comunitaria con la persona di Gesù, nella giustizia sociale e nella promozione umana, dove uomini e donne non sono protagonisti di storie senza significato, ma figli e fratelli che insieme camminano sulla strada che conduce al cuore del Padre.
Fratelli e sorelle, la Liturgia che stiamo vivendo ci introduce nel mistero della fraternità universale, fondata nella paternità divina e nell’adozione filiale, di cui siamo stati resi partecipi in Gesù Cristo. Tra poco diremo tutti insieme che Dio è “Padre nostro”, cioè unica fonte della vita per tutti gli esseri umani, che nel sangue di Cristo ricevono la vocazione a formare l’unica famiglia dei popoli. Dio si è rivelato nell’affettuosità di un Padre. Dio vuol vivere con noi nell’intimità di una sola famiglia, che pur vive situazioni di tensione e di sofferenza, ma che sa anche apprezzare gli sforzi della solidarietà e promuove la fatica dell’accoglienza e della reciproca ospitalità. Certo, è difficile realizzare tutto questo, soprattutto nella famiglia emigrata, esposta a tanti pericoli e difficoltà: il problema dell’integrazione, sempre più difficile, nella nuova società; la relazione, sempre più problematica, tra genitori e figli; la convivenza tra generazioni diverse, che diventa sempre più difficoltosa e conflittuale, a causa della differente cultura che i figli recepiscono nel nuovo ambiente; il problema della trasmissione dei valori familiari nell’intervento educativo; la questione dell’inserimento dei figli nel processo scolastico. Una vera politica migratoria, dunque, deve tendere a elaborare precise normative che assicurino stabilità e garantiscano a tutti la difesa dei propri diritti. La Chiesa non rivendica specifiche competenze nell’elaborazione di tali progetti: si riserva, però, di concorrere con opportune proposte perché gli orientamenti si ispirino ai diritti fondamentali della persona umana e alla grande tradizione della nostra civiltà cristiana. Tocca poi ai laici cristiani, ai gruppi, alle associazioni e agli organismi di ispirazione ecclesiale assicurare a tali misure una maggiore concretezza, in base alla loro specifica competenza ed esperienza, e sollecitare, di conseguenza, precise scelte operative. Al di là dei piani normativi, comunque, è necessaria una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze, traendo ispirazione da quella gamma di valori, sentimenti e comportamenti che vanno sotto i nomi di accoglienza, comprensione, solidarietà, convivenza e convivialità.
Seguendo questi suggerimenti, sono certo che riusciremo a tracciare, nella società di oggi, un vero itinerario di reciproco rispetto e di coesione sociale. La Madonna, Regina di tutti i popoli, e i Santi Martiri della fede (tra cui c’è anche San Giovenale) ci proteggano e ci aiutino in questo compito così difficile ma anche così attuale e affascinante, perché nel mondo d’oggi possiamo portare la testimonianza della presenza di Cristo risorto, Principe della pace. Sia lodato Gesù Cristo.